Il mio blues di Natale

Per questo Natale ho ricevuto un’amata rassicurazione dalla mia insegnante di piano: secondo lei conosco bene e so suonare a memoria i tre pezzi per l’esame di livello tre. Una Giga in Re minore di Carlos de Seixas per la sezione barocca e settecentesca, un pezzo delicato e sognante intitolato Shadows di Walter Carroll per la tradizione europea ottocentesca e Blues in the Attic di Nikki Isles per brani moderni e contemporanei di diversi generi. Blues in the Attic è il mio preferito ed è stato complicato all’inizio addestrare le mani e la mente al ritmo funky, che non avrei mai creduto mi regalasse soddisfazioni grandissime…ma ora lo suonare, dall’inizio alla fine, senza dimenticare una nota e sbagliare il tempo, come del resto anche gli altri due.

Allora perché faccio ancora e così spesso tanti errori? Una nota tenuta troppo o troppo poco, un arpeggio sporco quando suono arpeggi e scale più volte al giorno, una stonatura stupida che rovina tutto.

Continuando a sbagliare e (finalmente) riflettendoci sopra mentre suono e quando ho finito di suonare riconosco che gli errori più stupidi e facilmente evitabili (non quelli, per esempio, dovuti a effettive difficoltà tecniche) sono in diretta propoprzione alla capacità di distrarmi pensando ad altro mentre eseguo i pezzi, in particolare quando penso a come sono migliorata, come sono diventata brava, a che bella figura farei davanti a un esaminatore ora che li so suonare con sicurezza ed espressività. È come immaginarsi in scena o su uno schermo. E più la mente si perde in queste incursioni dell’ego, più il brano si smonta e si ribella cercando di dirmi: “Non sono io! Stai suonando te stessa, ma senza di me, non sei niente.”

Ogni volta che invece senza farmi prendere da smanie di successo personale, riesco a suonare pensando al pezzo o ancora meglio, senza pensare a nulla, la bellissima musica è portata allo scoperto dalle mie mani. Il blues, le ombre e la danza emergono nella loro magica perfezione e mi ringraziano per averle espresse con amore e rispetto.

Io sono il suonatore e la musica è una entità a sé stante, a me legata temporaneamente dalla capacità di suonare il mio pianoforte. La Giga esisteva già da prima, da sempre, e non solo prima di chi la sta suonando ma anche prima di colui che chiamiamo compositore. In natura, in matematica, in un diagramma di punti, righe, figure geometriche, quelle composizioni esistevano nello spazio di un pianoforte o di una tuba, un sassofono, un violino e ad infinitum. Il compositore di un brano è stato il primo a portarlo allo scoperto. È indispensabile dar ragione alla musica prima che a noi stessi, al nostro orgoglio, la nostra immagine pubblica, il nostro successo e capire che quanto più diamo importanza a questi ultimi complimentandoci della nostra importanza nel mondo, ci sovrapponiamo al vero protagonista, stupidamente, volgarmente, credendo di essere chissà chi, e assomigliamo un pochino all’imperatore senza abiti della fiaba.

Se invece rido di queste stupide pretese liberandomi del bisogno di attenzione e gratificandomi finalmente con la musica, in sala si diffonde un fantastico blues.